L'Associazione Scarlatti riporta Schumann nel Teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli.
In occasione della ricorrenza di S. Valentino, l'Associazione Scarlatti ha programmato un altro appuntamento del ciclo di concerti dedicati al grande compositore R. Schumann ed in particolare alla sua produzione cameristica. Protagonisti nuovamente al Teatro di Corte del Palazzo Reale sono stati i musicisti del Quartetto Modigliani, giovani artisti formatisi al Conservatoire National Superieur de Musique di Parigi, amici legati soprattutto dall’amore per l’arte e dal comune sentire nel loro percorso professionale.
La serata è trascorsa piacevolmente ascoltando due piccoli capolavori del maestro tedesco e cioè il quartetto per archi in la maggiore op. 41 n. 3 ed il quintetto in mi bemolle. Il Quartetto in la scritto nel 1842 fu realizzato in tempi brevi e con un esito felice e affatto personale, in particolare per ciò che concerne la scrittura strumentale. L’esperienza dei grandi cicli di quartetti di Haydn e Beethoven seppure presente nel gesto compositivo sembra superato nel disegno delle frasi e nella costruzione di tutta la struttura dell’opera. L’arte compositiva di Schumann vuole qui offrire un mondo diverso al dialogo cameristico tra gli strumenti andando ben oltre i limiti di questa categoria e secondando “onde armoniche” molteplici, ora fluttuanti libere ora tendenti a chiudersi in un canto dolcissimo e solipsistico, come nell’Adagio molto, movimento che sembra costituire una sorta di ”romanza senza parole” per quattro archi. L’interpretazione non fa tuttavia emergere del tutto la struttura di fondo e l’intenzione di Schumann, e le frasi così ricche ed interessanti per gli archi non sono giustamente valorizzate.
Ben diverso valore ha l’esecuzione del quintetto in collaborazione con la brava pianista Beatrice Rana. Giovane e promettente musicista, la Rana ha già dedicato molta parte dei suoi studi al Romanticismo ed in particolare a Chopin di cui ha inciso i Preludi per l’etichetta discografica Atma. Il Quintetto in mi bemolle per archi e pianoforte ha riscosso un buon successo, molti gli applausi a fine concerto ed anche maggiore attenzione da parte del pubblico durante i singoli movimenti. Di grande effetto l’esecuzione del finale, Allegro ma non troppo, meraviglioso saggio d’arte contrappuntistica e scrittura cameristica miscelata nel giusto modo nella vertigine d’un equilibrio armonico figlio di quella classicità d’ascendenza mozartiana ma tutta volta alla ricerca del mistero e della natura e delle profondità insondabili dell’animo umano. Tutto un mondo d’affetti e slanci che oggi ancor più di ieri ci rendono così affascinante e accattivante la musica d’un uomo che per cercare la propria visione del Suono ed un senso nuovo da dare alla vita dell’artista, sacrificò la dignità della propria, compromettendo la sua stessa lucidità d’individuo ed il suo ruolo negli angusti limiti della società ottocentesca.